Da quasi 25 anni, la cooperativa La Esse ha attivi progetti educativi dedicati alle comunità Rom e Sinti nel territorio della provincia di Treviso.
Inizialmente ha affiancato i propri educatori professionali a volontari già presenti nei contesti di intervento, successivamente ha costruito con gli Enti Locali dei progetti specifici per contesti definiti. Negli anni sono state seguite comunità Sinti e Rom presenti nei comuni di Treviso, Ponzano Veneto, Trevignano, Villorba, Castelfranco Veneto, Montebelluna oltre a singoli nuclei su altri territori.
Dal nostro osservatorio, riconoscendo a priori che le comunità Rom e le comunità Sinti sono portatrici di storie e di culture anche molto differenti tra loro, lavorare oggi con questo target nella provincia di Treviso significa affrontare tematiche quali:
- il precariato lavorativo (contratti inadeguati, poco tutelanti o assenti)
- la corsa ad ostacoli per l’inserimento lavorativo di persone con disabilità
- la difficoltà di accesso in tempi congrui alle cure mediche presso il Servizio Sanitario Nazionale
- la parità di genere e i diritti “negati” delle donne
- la precarietà abitativa e il difficile accesso al mercato della casa
- l’abuso di alcool e il difficile avvicinamento ai servizi specialistici
- la solitudine degli anziani e le difficoltà economiche legate alle “pensioni minime”
- la violenza domestica
- il rischio di cadere in attività illecite
- l’iper informatizzazione della burocrazia contro le scarse competenze di chi ha una scolarizzazione di base
- la tutela dai raggiri telefonici
- l’abbandono scolastico nella fascia 14-18
- le differenze e le incomprensioni intergenerazionali
Ci stiamo quindi dicendo, che ogni famiglia Rom e ogni famiglia Sinti vive una o più delle difficoltà elencate qui sopra?
La vera domanda è forse: conosciamo famiglie in Italia che non abbiano mai vissuto una o più delle difficoltà elencate qui sopra?
Le comunità di Rom e Sinti a volte si presentano come piccoli universi, capaci di contenere le istanze che possiamo trovare ovunque nelle famiglie italiane, ma condensate in uno spazio ristretto, come è quello del “campo” (per comodità definiremo ancora così lo spazio in cui vivono). Ogni nucleo ha una storia a sé ed è portatore di bisogni specifici e specifiche competenze da mettere in gioco. Pensare a queste comunità come entità uniche e omogenee è il più grande errore che si possa fare in termini di progettualità, di intervento e di visione.
Se c’è un tema che in questi 25 anni di lavoro è rimasto pressoché immutato nella forma e nel contenuto è quello del pregiudizio. Il pregiudizio si muove su un asse tra interno ed esterno.
L’esterno osserva queste persone con il filtro dell’idea che si è fatto della comunità Rom o Sinti tutta, raramente valutando il singolo individuo. La maggior parte delle volte sono idee che si fondano sul sentito dire più che su esperienza diretta. L’appartenenza familiare oltre che culturale fa ricadere le responsabilità del singolo come responsabilità dell’intera comunità di appartenenza. L’errore di uno ha sempre ricadute su tutti. Non vale lo stesso quando si è di fronte ad un successo personale che viene interpretato come un’eccezione.
La persona Rom o Sinti spesso si sente diversa perché esclusa (o autoesclusa) da dinamiche culturali e territoriali e parla dei non Sinti (Gagè) come un blocco unico di persone portatrici di una stessa visione del mondo. I pregiudizi di cui sono vittime spesso vengono vissuti come inevitabili, con una forma di rassegnazione che trova come unica risposta il continuare a sentirsi pienamente a proprio agio o meglio “al sicuro” solo tra altri Rom o Sinti.
Se pensiamo a che tipo di ricaduta possa avere questo aspetto sul tema abitativo, forse ci riuscirà più semplice capire come mai questi “campi” siano ancora così ampiamente diffusi.
La scelta di continuare a vivere all’interno di spazi isolati (campi) quindi, rimane ad oggi una scelta?
Se sì, è una scelta culturale, affettiva, meramente economica, o una complessa mescolanza di tanti fattori?
Il “campo” è prevalentemente la soluzione ad un bisogno di residenza, ad un bisogno di mutuo aiuto e si rivela necessario spesso a causa di ridotte capacità economiche. Il “campo” è anche la storia e la “normalità” in quanto contesto in cui si trova protezione e rifugio dall’esterno. Il desiderio di abitare in una casa spesso è forte e presente ma genera paure, soprattutto nelle vecchie generazioni. Abitare una casa necessita l’acquisizione di nuove competenze per far fronte a diverse responsabilità, maggiori e obbligate interazioni con i gagè, in un contesto di grande “visibilità” che spesso si traduce in maggiore vulnerabilità.
I progetti educativi destinati a Rom e Sinti quindi a cosa servono?
Partiamo dal presupposto che un progetto educativo nasce ogni qual volta un’istituzione rileva un bisogno importante in una o più famiglie del proprio territorio, bisogno che senza quel progetto rimarrebbe inappagato. Questa è la genesi dei progetti giovani, degli sportelli famiglia, dei tempi integrati e delle educative domiciliari, dei trasporti sociali etc…
Allo stesso modo nascono i progetti destinati al supporto di una o più famiglie Rom o Sinti: l’istituzione rileva un bisogno, capisce che senza un intervento rischierebbe di rimanere inappagato, crea quindi un’opportunità di supporto.
Il destinatario dell’intervento è colui che è chiamato ad attivarsi per ottenere un cambiamento, ma invece di farlo da solo/a, ha uno o più operatori professionali che possono accompagnarlo verso la direzione più adatta a lui/lei.
A nostro avviso, un elemento sul quale porre attenzione è il fatto che spesso l’essere parte di una comunità specifica non facilita l’accesso agli stessi servizi/progetti/interventi dedicati alle altre persone in condizione di bisogno. Il rischio, nella creazione di progetti ad hoc, è di offrire risposte non legate ai bisogni specifici ma all’appartenenza.
In quest’ottica gli educatori della cooperativa La Esse hanno modificato l’approccio di intervento nelle comunità in cui hanno operato, così come in qualsiasi intervento educativo vengano chiamati a fare sul territorio: dotano le persone di maggiori strumenti e competenze, così che un domani l’intervento stesso risulti superfluo perché la persona ha raggiunto un adeguato livello di autonomia.
Elisa Zanet
Simone Schiavinato